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Scoprite "La Donna di Lana

PROLOGO


Monti di Cristallo, XII secolo a.c. circa


La piccola barca scivolava lentamente sulle acque del lago illuminate solo dalla luce della luna crescente che si rifrangeva sulle crode argentate che lo circondavano.

Seduta a prua, una donna molto anziana, ripiegata su se stessa dagli anni e con lo sguardo ormai spento, ascoltava in silenzio lo sciabordio delle onde lungo la chiglia e il lento ritmare del remo.

In piedi a poppa, impegnata nella voga, una donna più giovane, della quale si leggeva ancora una bellezza che, da fanciulla, doveva essere stata straordinaria.

Entrambe vestivano con abiti e mantelli di lana grossa, fermati all’altezza della gola da una fibula d’oro finemente cesellata, con un cappuccio che copriva loro il capo.

D’un tratto, la quiete della notte fu squarciata da squilli di trombe che sembravano uscire dalle stesse montagne prima in modo sommesso e poi in crescendo, fino a divenire una fanfara marziale e trionfale che entrambe conoscevano molto bene.

Alle prime note, la donna al remo aveva virato di bordo e aumentato il ritmo per allontanarsi, ma quella anziana la fermò con un gesto della mano.

«Madre!» Implorò la più giovane. «Non serve a nulla! Annunciano una grande ora che non verrà mai più, chiamano un eroe che ormai è polvere da anni!»

La vecchia annuì mestamente con il capo, mentre un sorriso amaro le si disegnava agli angoli della bocca.

«Lo so, figlia mia. Ma lasciami udire per l’ultima volta le trombe d’argento, che squillarono tante volte quando il nostro regno era grande e potente. Lo so che ora suonano inutilmente, perché nessuno può rispondere al loro appello. Ma ti prego, lascia che io le ascolti ancora una volta e che, per un attimo, il cuore di questa vecchia torni a battere, prima che io vada per sempre a dormire sul fondo del lago».

Dopo che la leggera brezza notturna ebbe portato via anche l’ultima nota, l’anziana si tolse il cappuccio e la luna le illuminò il volto rigato di lacrime.

«Ecco…» Disse con un sospiro. «Adesso possiamo tornare a casa».


Avanzava fiera lungo il corridoio scavato nella roccia. A testa alta, guardando dritta davanti a sé. Aveva lunghi capelli biondi e setosi, e due occhi di un azzurro così chiaro da sembrare quasi trasparenti. Indossava un mantello rosso di lana leggera finemente tessuta, bordato d’oro sopra ad un abito candido di una lana talmente impalpabile che sembrava quasi fatto di nuvole e ad ogni passo pareva danzare nell’aria. I piedi nudi, calzati in un paio di sandali intrecciati, davano l’impressione di sfiorare appena il pavimento tanto il suo incedere era leggero ed elegante.

Procedeva un metro avanti alla propria scorta: due armigeri abbigliati con corazze, elmi e scudi d’argento sui cui era riprodotta l’immagine di una marmotta.

Il gruppo superò un portale sorvegliato da due guardie armate di lancia che indossavano la stessa la uniforme ed entrò in un ampio salone dal tetto a volta.

Seduta sull’imponente trono, posto su una pedana al centro della sala, la vecchia regina, ormai cieca, volse il viso verso il rumore dei passi in avvicinamento. Sua figlia, la principessa Lujanta, si sporse verso di lei e le sussurrò in un orecchio: «È arrivata».

La ragazza si profuse in un inchino.

«Mia regina…»

«Avvicinati Vivona». Sorrise la sovrana. «Ti ho fatta chiamare, dopo tutti questi anni, per affidarti una nuova missione: l’ultima. La mia vita ormai è giunta quasi alla fine, con essa anche il nostro regno, dopo che mio nipote Lidsanèl è caduto con onore in battaglia. Noi attenderemo il tempo promesso ma, come sai, potrebbero volerci dei secoli e, probabilmente, ognuno tra i presenti in questo palazzo sarà polvere molto prima. Tutti…» La regina sospirò rassegnata e allungò una mano, brancolando alla ricerca di quella di Vivona che, prontamente, gliel’afferrò. «Al pari del popolo delle marmotte», proseguì la sovrana, «tu e le tue sorelle siete sempre state nostre fedeli alleate e tu sei sempre stata la più devota. Perciò ho deciso di affidare a te questo incarico, in attesa del giorno in cui in nostro regno potrà risorgere. Dovrai partire, donna della lana. Andare molto lontano, in un luogo che ti sia amico, dove i nostri nemici, i Cajutes, non possano mai raggiungerti. E dovrai custodire il nostro segreto e tenere viva la nostra memoria fino al giorno in cui torneranno a squillare le trombe d’argento».

Vivona strinse più forte la mano della vecchia regina, inchinandosi di più.

«Mi state dando un grande onore e un grande onere, maestà. Farò del mio meglio per onorare la mia missione e il vostro popolo».

«Ora va’ e sii testimone della nostra storia fin quando il nostro regno potrà risorgere in tutta la sua gloria».

La fanciulla si alzò, chinò il capo in segno di rispetto e ruotò con eleganza su se stessa, allontanandosi con passo leggero.

«Lo farà, madre?» Domandò la principessa appena furono rimaste da sole. «Le anguane sono molto legate ai monti di cristallo e l’esilio che le avete imposto sarà un fardello molto pesante».

«Lo so, figlia mia, ma è necessario. Troppi sono ancora i nostri nemici e troppo pericolosi. La donna della lana soffrirà per dover abbandonare la sua terra e le sue sorelle, ma porterà a compimento la missione, sapendo che un giorno potrà fare ritorno».


Appennino romagnolo, 1568


La ragazza correva nel bosco lungo lo stretto sentiero che portava al lago, incurante dei rami che strappavano le sue povere vesti da contadina e dei sassi aguzzi che potevano ferirle i piedi nudi.

Doveva fare presto!

Un rovo le strappò una ciocca dei capelli corvini. Lanciò un grido di dolore, ma non rallentò la sua corsa finché non fu davanti alla porta di una casetta di legno a pochi passi dalla riva di un laghetto.

«Viviana! Viviana!» Gridò disperata, battendo freneticamente all’uscio con il palmo della mano. «Viviana!»

La porta si aprì e apparve una donna anziana, dai vivaci occhi azzurro chiaro che piantò in quelli neri della fanciulla.

«Che ti succede, Isotta? Ti insegue il diavolo?»

«Devi fuggire!»

«E perché mai?»

«L’inquisizione è in paese per arrestarti! Hanno deciso che sei una strega! Devi scappare subito!»

La vecchia impallidì.

«Una strega? Io? Ma sono impazziti? Io sono solo una vecchia filatrice! Non ho mai fatto del male a nessuno!»

«Qualcuno ti ha denunciata lo stesso! Le tue bambole di lana! Dicono che sono feticci diabolici e le usi per lanciare malefici!»

«Ma è falso! Sono solo dei sacchetti dove metto le erbe profumate che raccolgo nei campi e vendo! Li faccio in forma di donna perché possano poi diventare dei giochi per le bambine, santo cielo!»

«Dillo ai preti quando ti tortureranno, allora!» Ribatté Isotta con una punta di ironia. «Vedrai che saranno comprensivi e sicuramente scamperai il rogo!»

«Hai ragione, me ne devo andare…» Convenne la filatrice. «Partirò stasera stessa».

«No, partirai subito!» Intimò la contadinella. «Stanno già venendo qui! Non c’è tempo! Erano quasi al bosco! C’è mezzo paese con i soldati e un frate dell’inquisizione: uno straniero che quando parla sembra che tagli le parole con l’ascia e poi le sputi. E ha uno sguardo che mette i brividi!»

«Deve essere uno di quei maledetti…» Mormorò Viviana, mentre un’ombra le passava davanti agli occhi. Guardò la sua casa, formata da un’unica stanza ingombra di pezze di lana dove mangiava, dormiva e lavorava all’arcolaio e al telaio. «Non devono trovare i libri!»

«Che libri?» Si sorprese Isotta. «Allora è vero che sei una strega?»

Lo sguardo di Viviana si addolcì mentre accarezzava la guancia di Isotta.

«No. Ma di certo, se li trovassero, avrebbero un motivo in più per pensarlo. Per i preti, una donna che legge o – peggio ancora! – che sa scrivere è una figlia del demonio per principio. Vogliono tenerci nell’ignoranza, come bestie da cortile. Non posso permettere che cadano nelle mani di uomini così gretti».

«Ma dove sono?»

La vecchia filatrice indicò una sottile fessura sul pavimento, quasi invisibile.

«C’è una stanza segreta sotto la casa. I libri sono lì, in una cassa».

«Che cosa vuoi fare, allora? Non c’è tempo!»

«Vieni, dammi una mano!» La filatrice afferrò la fanciulla e le mise in mano un piccolo orcio. «È il petrolio che adopero per le lucerne. Spargilo sui muri, sul pavimento, dappertutto!»

«Bruci tutto?» Si stupì Isotta.

«Sei perspicace!» Osservò la vecchia con un sorriso.

«Anche i libri?»

«Soprattutto quelli! Li conosco a memoria e avrò tempo di riscriverli. Come ti ho detto, non devono cadere nelle mani sbagliate».

Ciò detto, con una facilità che ad Isotta parve incredibile per una donna dall’età così avanzata, spostò il pesante letto e il telaio sopra la botola e vi ammucchiò tutte le pezze di lana.

«Dammi». Disse, riprendendo l’orcio dalle mani della ragazza e svuotandolo sopra a tutto il resto. «E adesso scappa! Non devono trovarti qui o finirai anche tu in grossi guai!» Le intimò. Quindi prese la lucerna accesa e la spaccò sul pavimento ormai impregnato di petrolio. Concluse l’operazione afferrando un tizzone dal camino e appiccando il fuoco a tutto, sia all’interno che all’esterno.

«Sbrigati!» Le sussurrò la fanciulla nascosta nel bosco. «Li sento arrivare!»

«Ho le orecchie anch’io! Vai via, in nome del cielo!»

Appena fu sicura che Isotta si fosse dileguata e che la casa fosse totalmente avvolta dalle fiamme, Viviana trasse da sotto le vesti un sacchetto di stoffa che gettò all’interno. A contatto con il fuoco, lo zolfo che vi era contenuto esplose.

«Volevano la strega? Eccoli accontentati». Mormorò entrando nel lago e scomparendo sotto la superficie.

Il gruppo di paesani del vicino borgo che sbucò dal bosco pochi minuti dopo al seguito delle guardie del vescovo, gridando «Morte alla strega!», si trovò davanti ad un rogo che rischiava di estendersi anche agli alberi circostanti.

«La malefica è bruciata per conto suo». Sorrise il comandante degli sgherri. «Ci ha risparmiato la fatica».

«Non sentite questa puzza di zolfo?». Osservò Ulrico da Lienz, l’inviato dell’inquisizione: un frate domenicano segaligno con il volto scavato e gli occhi che sembravano due pezzi di ghiaccio. «Il demonio è venuto a prenderla!»

Tutti si guardarono smarriti e si fecero il segno della croce. Il monaco fece due passi in avanti per avvicinarsi il più possibile alla casa in fiamme, allargò le braccia e declamò ad alta voce:

«Exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus: et fugiant qui oderunt eum a facie ejus. Sicut deficit fumus, deficiant: sicut fluit cera a facie ignis, sic pereant peccatores a facie Dei.[1]»

Quindi tracciò nell’aria il segno della croce e ritornò accanto ai soldati mentre le fiamme, ormai alte, rischiavano di lambire i rami degli alberi.

«Andiamocene da questo posto maledetto, prima che vada a fuoco tutto il bosco».


Due ore più tardi, frate Ulrico smontò da cavallo nel cortile del convento di San Francesco a San Piero in Bagno e si diresse verso la cella che gli era stata assegnata senza degnare di uno sguardo il priore che era uscito ad accoglierlo.

Avrebbe voluto accendere personalmente il rogo sotto i piedi di quella strega, invece la maledetta aveva preferito bruciare da sola. E con tutti i suoi segreti. E pensare che c’era andato così vicino!

Chiuse la porta con il chiavistello, sfilò il crocefisso e si levò il pesante saio bicolore, rivelando appeso al collo un medaglione rotondo su cui erano rappresentate una serie di saette inscritte in un cerchio che da un nucleo centrale si irradiavano verso l’eterno.

Si levò anche le brache e, completamente nudo, estrasse dal suo bagaglio un flagello con il quale, inginocchiato sul pavimento di pietra, iniziò a scudisciarsi recitando il rosario, mentre con l’altra mano stringeva convulsamente nel pugno il medaglione.

Aveva fallito la sua missione e ora la caccia, che ormai durava da secoli, sarebbe dovuta ricominciare un’altra volta daccapo.


A tarda notte, mentre ancora ardeva qualche brace di quella che era stata la casa di Viviana la filatrice, una figuretta snella uscì dal lago sulla riva opposta.

Filtrando attraverso gli alberi, i raggi della luna illuminarono brevemente una fanciulla bionda. Indossava un vestito leggero che, essendo inzuppato, sembrava fatto di alghe. Lesta, si dileguò tra gli alberi raggiungendo una radura dove – quasi la stesse aspettando – pascolava uno splendido stallone bianco.

«Andiamo, bello…» Sussurrò la giovane prendendolo per la cavezza e montandogli in groppa. «Abbiamo molta strada da fare».


PROSEGUE IN LIBRERIA



[1]Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano; e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano. Come si disperde il fumo, tu li disperdi, come fonde la cera di fronte al fuoco, periscano gli empi davanti a Dio. (salmo 67)

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